Un terremoto, improvviso, in una tranquilla serata di fine novembre. Accade lunedì scorso, il 28 novembre, poco prima delle dieci di sera. L’intero Cda della Juventus si dimette. Tra questi, fa rumore la fine dell’era di Andrea Agnelli, dopo un decennio (4576 giorni, per la precisione) in cui ha traghettato i bianconeri a emergere dai detriti del post-Calciopoli. Ora Andrea Agnelli lascia, e con lui pure il suo vice Pavel Nedvěd e l’a.d. Arrivabene a cui però il Cda ha chiesto di restare. I membri dimissionari sono dieci e la decisione – presa all’unanimità – deriva forse dal coinvolgimento nell’indagine Prisma per falso in bilancio e le contestazioni della Consob.
Andrea Agnelli, nato a Torino il 6 dicembre 1975, è figlio di Umberto Agnelli, il Dottore, e nipote di Gianni Agnelli, l’Avvocato. È stato il presidente della Juventus dal 2010 al novembre 2022, oltre che direttore non esecutivo di Stellantis e amministratore di Exor, la società degli Agnelli-Elkann che detiene la maggioranza (63,8% delle quote) della Juventus. Con diciannove trofei vinti nei dodici anni del suo mandato – tra cui nove scudetti di fila, dal 2012 al 2020 – Andrea Agnelli è il presidente più vincente nella storia del club bianconero. Il suo successore sarà Gianluca Ferrero, il nuovo direttore generale sarà Maurizio Scanavino. È una nuova era in casa Juventus. Ma cosa resta del ciclo vincente di Andrea Agnelli? Un romanzo in piena regola.
Quando Agnelli viene ufficialmente nominato presidente della Juventus, il 19 maggio 2010, la situazione non è delle migliori. La Juventus conclude settima e fuori dalle Coppe il campionato, al termine di una stagione cominciata con Ferrara e conclusa con Zaccheroni, in cui i principali colpi di mercato dell’estate 2009 – i brasiliani Diego e Felipe Melo, acquistati per 52 milioni da Werder Brema e Fiorentina – avevano steccato. Era l’ultimo ballo per Fabio Cannavaro e Fabio Grosso, rientrati in Italia da campioni del Mondo in carica, a ricordare però allo stesso tempo come l’estate 2006 non fosse solo stata l’estate di Berlino ma pure l’estate di Calciopoli, che privò de iure la Juventus dello scudetto 2004/05 e non le assegnò quello 2005/06 dopo averla retrocessa d’ufficio in Serie B.
2010: Andrea Agnelli presidente della Juventus
Ma Agnelli come detto sale in carica il 19 maggio 2010. «Sarà un percorso complicato, la nostra situazione attuale è evidente – spiega in conferenza stampa – e ho accettato questa sfida perché ritengo di poter dare un contributo alla mia squadra del cuore. Oggi siamo qui per pensare esclusivamente al domani». La sua ristrutturazione parte da Genova. Agnelli preleva dalla Sampdoria il d.g. (Giuseppe Marotta, che definirà «il mio acquisto più importante») e il tecnico (Luigi Delneri) capaci, l’anno prima, di far volare i blucerchiati di Pazzini e Cassano: quarti in classifica e qualificati alla Champions League. A Torino, la magia non si compie – la Juve di Delneri finisce settima, di nuovo – ma già noti alcuni protagonisti del ciclo. Come Leonardo Bonucci, arrivato in estate dal Bari via Genoa di Enrico Preziosi, per 15,5 milioni di euro. Bonucci debutta il 29 luglio 2010, quando la Juventus è impantanata nel terzo turno preliminare di Europa League in Irlanda contro lo Shamrock Rovers. Ma non tutte le ciambelle vengono col buco: quell’estate sbarca a Torino il biondissimo Miloš Krasić, e in Europa Delneri stecca. Sei pari in sei partite, fuori dall’Europa League con Manchester City e Lech Poznań davanti. Bah.
La vera rivoluzione di Andrea Agnelli alla Juventus si compie in estate 2011, con l’arrivo di Antonio Conte e del rivoluzionario 4-2-4. Ex centrocampista e bandiera della Juventus, il leccese Conte ha allenato a Bari e Bergamo prima di stupire tutti a Siena, con un modulo spregiudicato. «Torno a casa, dopo sette anni», spiega ai giornalisti dopo aver firmato un biennale. L’inizio è da sogno: l’11 settembre 2011 la Juve debutta in stagione e lo fa allo Juventus Stadium appena inaugurato, battendo 4-1 il Parma. Il primo gol lo segna Stephan Lichtsteiner su assist di Andrea Pirlo. Che in estate il Milan campione d’Italia in carica riteneva evidentemente bollito dopo nove anni in rossonero: plot twist, Pirlo a fine anno vincerà il campionato con la Juventus di Conte. Che in estate aveva fatto il pieno di ali: Giaccherini, Pepe, Eljero Elia. E Arturo Vidal, prelevato a luglio 2011 per 10,5 milioni dal Bayer Leverkusen e – nelle intenzioni iniziali – esterno di sinistra. Altro plot twist: Vidal, con l’altro neoacquisto Pirlo e col Principino Marchisio, sarà il cardine della Juventus a centrocampo. O sulla trequarti, dall’estate 2012, quando arriverà Paul Pogba e sarà il francese a giocare con Pirlo e Marchisio lasciando il cileno più avanti. Ma andiamo per gradi.
2012: la prima Juventus di Antonio Conte
La prima Juventus di Conte si laurea campionessa d’Italia 2011/12, ed è realmente una laurea. Il nuovo Stadium dispensa entusiasmo e – nonostante il Milan di Zlatan Ibrahimović – Antonio Conte vince il campionato, dopo otto anni. E lo fa da imbattuto, con zero sconfitte. Il segreto? «Tutti corrono, tutti difendono, tutti si aiutano, tutti attaccano e tutti segnano». Agnelli si prende giustamente il merito dell’exploit: «Saremo ricordati come gli invincibili». Fa molto Nick Hornby, ma è così. Sarebbe lo scudetto numero 30, ma la terza stella diventa un problema. FIGC e Lega Serie A dicono di no, la Juve piega il capo sui 28 titoli ma inserisce un “30 sul campo” sul colletto della maglia, a memoria futura. E comunque, tra la Vecchia Signora prima e il Milan secondo passano quattro punti e il 25 febbraio 2012 a San Siro finisce 1-1 tra le polemiche, col gol (fantasma) della discordia di Sulley Muntari. È la Juventus di Matri, Quagliarella, Vucinic che l’estate prima aveva lasciato la Roma e Alessandro Del Piero. Lui si congeda da vincente, dopo 19 anni di carriera, oltre 700 partite col bianconero indosso inframmezzate dal Mondiale vinto in Germania. Pinturicchio è tipo un collante generazionale, dall’era Boniperti all’era Agnelli. Ora saluta la Juventus. E vissero tutti felici e contenti (anche se la Coppa Italia la vince il Napoli di Mazzarri, con gol di Cavani e Marek Hamšík).
Ma nell’estate 2012 c’è un Europeo. Il c.t. dell’Italia è Cesare Prandelli e arriva mirabilmente fino alla finale – persa 4-0 contro una Spagna atleticamente inarrivabile – contribuendo alla fama della difesa a tre. In cui giganteggia il blocco bianconero: Gigi Buffon, Andrea Barzagli (che gioca alla Juventus da gennaio 2011), Leonardo Bonucci e Giorgio Chiellini. Prendi le loro iniziali e nasce la BBC. Che presto diventa il pilastro su cui Antonio Conte – che ha ormai completato la transizione dal 4-2-4 al 3-5-2 – fonda il suo successo. Il tema sta a centrocampo e in attacco. Nell’estate 2012 non servono più le ali (Krasić ed Elia) e da Udine arrivano due calciatori duttili, il cileno Isla e il ghanese Asamoah. Oltre al sopracitato Paul Pogba, il tassello creativo che probabilmente mancava. Il centrocampo brilla. Curiosamente, però, steccano sia il principale attaccante acquistato in estate (il danese Nicklas Bendtner) che quello di gennaio al mercato di riparazione, il francese Nicolas Anelka. Ma a fine anno è ancora Juve davanti a tutti: bianconeri in testa da inizio campionato e da capolista – in solitaria – dall’ottavo turno di campionato all’ultimo. Predominio assoluto.
Barzagli-Bonucci-Chiellini e Carlos Tévez
Conquistata l’Italia, l’obiettivo ragionevolmente successivo è l’Europa. Così nel 2013/14 la Juventus vince agevolmente uno storico campionato, il terzo di fila e in tripla cifra: 102 punti, dritti nella storia. Merito della solita BBC e di un attacco nuovo: via Matri, dentro Carlos Tévez e Fernando Llorente. L’Apache e il Re Leone. Pare un film della Disney. Ad Antonio Conte riesce bene tutto: o quasi, perché in Champions League la Juventus stecca: vince una sola partita, a Torino col Copenhagen, e basterebbe pure. Sennonché in trasferta a Istanbul, contro il Galatasaray, un gol dell’ex interista Wesley Sneijder a cinque minuti dalla fine, sotto la neve, retrocede la Juventus in Europa League. Poco male, c’è giusto una finale di Europa League ospitata da Torino quell’anno. Ma di mezzo si mette il Benfica, che vince 2-1 a Lisbona e pareggia 0-0 a Torino dove poi si gioca – lui, mica la Juve – la finale col Siviglia. Una cosa accomuna Benfica e Juventus: come le finali di coppa per i bianconeri, pure i portoghesi hanno il loro anatema – colpa di Béla Guttmann, che nel lontano 1962 profetizzò cent’anni di insuccessi – per cui, quando il Benfica riesce a raggiungere una finale europea, non la vince puntualmente mai. Difatti, vince Unai Emery. Mal comune, mezzo gaudio?
A fine stagione si gioca il Mondiale in Brasile e qui l’ItalJuve– Buffon, la BBC, Pirlo e Marchisio – crolla rovinosamente tra le polemiche di/tra/ e/o con Balotelli e il morso di Luis Suárez al povero Chiellini. A Torino c’è un ulteriore restyling in attacco: via Quagliarella, dentro Álvaro Morata. E due francesi. Uno si chiama Patrice Evra e probabilmente l’hai già visto ridere su qualche social network. Ah, I love this game. L’altro si chiama Kingsley Coman, arriva da Parigi e gli basta un anno per finire al Bayern Monaco per 28 milioni. Colpo grosso. Ma il colpo – inteso come scossone – avviene in panchina. I dissidi tra Antonio Conte e la dirigenza della Juventus sono tali da portare alla rottura, a ritiro iniziato. Lui diventerà il c.t. della Nazionale italiana, mentre tra lo scetticismo generale a Torino prende casa Massimiliano Allegri. Ironia della sorte, Allegri aveva vinto lo scudetto nel 2011 col Milan prima di cedere il passo alla Juventus di Conte. Ora è lui il prescelto. Ma mutatis mutandis non cambia la sostanza. Merito di Carlos Tévez, che nell’ultimo anno di Conte e nel primo di Allegri segna complessivamente cinquanta gol.
2014: Max Allegri allenatore della Juventus
Se Allegri eredita da Conte il 3-5-2, passa presto al 4-3-1-2. Qui entra in scena Arturo Vidal, a. k.a. il colpo che Agnelli aveva pensato per le ali del 4-2-4 di Antonio Conte. Corsi e ricorsi, numeri e somme. E pure un po’ di confusione. Allegri vince il quarto campionato bianconero di fila, batte il Napoli dove la Juventus non vinceva da quattordici anni (ma i partenopei si vendicano a Doha, il 22 dicembre 2014, in Supercoppa italiana) e arriva laddove Conte non c’era mai riuscito: in finale di Champions League. Poi la perde, contro il Barcellona all’Olympiastadion di Berlino, ma intanto ci è arrivato. Non è questa la sede per aprire dibattiti sui “sarebbe stato meglio se…”. Agnelli prova un comprensibilissimo e tangibile orgoglio: «Avremmo potuto vincere, ma la prestazione di Berlino è un punto di partenza. Il bilancio dello scorso esercizio, 315 milioni di fatturato, ci mette in condizione di affrontare le big d’Europa». Quell’anno, oltre alla Juve in finale di Champions, ci sono Fiorentina e Napoli in semifinale d’Europa League (usciranno entrambe, contro Siviglia e Dnipro) ma per il calcio italiano è un buon momento. Agnelli lo spiega pure nelle sue conversazioni con Pallotta e Thohir. Nel mentre, pure in Coppa Italia è un trionfo bianconero, a vent’anni dall’ultima volta. Se c’era un buon modo di cominciare, probabilmente è questo. Antonio Conte chi, scusa? Momento da libro Cuore: Álvaro Morata, che il Real aveva ceduto alla Juventus, segna sia nella semifinale d’andata che in quella di ritorno. La Juventus elimina i madrileni, che per vendicarsi riacquisteranno Morata nell’estate 2016. Voilà.
Prima dell’estate 2016, c’è un’altra stagione. Che parte con lo smantellamento dell’estate 2015: dopo la finale di Champions persa, Vidal e Coman finiscono a Monaco di Baviera, mentre Pirlo a New York. Sperando di ripetere le gesta dell’affare Pirlo, la Juventus bussa alla porta del Real Madrid e ottiene il tedesco, campione del mondo in carica, Sami Khedira. Visto che in difesa c’è sempre la BBC e semmai arriva un terzino (Alex Sandro, dal Porto), lo sforzo economico si dirige in attacco: Dybala, Mario Mandžukić e Zaza, nell’ambito del passaggio al Sassuolo dell’altro talentino Mimmo Berardi. Allegri torna al 3-5-2 e attenzione, il Napoli di Sarri è campione d’inverno, ma la BBC è al suo massimo splendore: Gigi Buffon non prende gol per 974 minuti e ad aprile, in volata, la Juventus è davanti a tutti. La rimonta è assurda: da -11 punti alla testa del campionato in meno di quattro mesi, con 24 vittorie su 25 partite. Sono passati 81 anni dal Quinquennio d’oro di Edoardo Agnelli, padre di Gianni Agnelli e nonno di Andrea. Per questo, il 25 aprile 2016, Andrea Agnelli entra nella storia. Con tanto di hashtag dedicato, #hi5tory. È l’inizio di una consuetudine carina per la cultura della comunicazione calcistica. Da qui, ogni scudetto viene celebrato con un hashtag. Dopo #hi5tory, vengono #le6end, #my7h, #w8nderful e #stron9er. Come un viaggio dell’eroe, ma senza le peripezie di Christopher Vogler. A fine anno, la Juventus è al suo apice: due double di fila, anzi questo è un treble visto che a fine anno arriva pure la Supercoppa. Champagne, please.
2016: l’Europeo, Pjanić e Higuaín alla Juve
Nell’estate 2016, poi, si consuma un’interessante prova di forza. C’è l’Europeo, stavolta il c.t. è Antonio Conte, in difesa c’è sempre Buffon con la BBC e l’entusiasmo è alle stelle. Nonostante un attacco leggerino – Zaza, Pellé ed Éder – l’Italia non demerita. A Torino si fanno sotto il Manchester United e il Real Madrid. Pretendono di riavere indietro quel che hanno perso a parametro zero (Pogba) o quello che hanno venduto due anni prima con una clausola di recompra (Morata). La Juve non ha scelta, ma incassa 135 milioni che reinveste prontamente. Come? Privando la terza in classifica dell’ultimo campionato (la Roma) del suo playmaker (il bosniaco Miralem Pjanić) e togliendo alla seconda in classifica (il Napoli) il suo goleador. È argentino, si chiama Gonzalo Higuaín, viene presentato il 29 luglio 2016 a furor di popolo ed è reduce da un campionato in cui ha segnato 36 reti, superando il precedente record di Gunnar Nordahl. Higuaín spezza il cuore di Napoli e si trasferisce alla Juventus, da acquisto più costoso nella storia del calcio italiano. Ricapitolando: la Juventus incassa 135 milioni e ne spende 122 così, privando le concorrenti dei loro punti di forza. Gestionalmente, due colpi da maestro.
E infatti gli altri arrivi estivi (il gioiellino croato Pjaca, l’ex romanista Benatia e Dani Alves – voglio dire, Dani Alves, il giocatore più vincente nella storia del calcio con 47 trofei!) passano in sordina. La Juventus come da pronostici è campionessa d’inverno e nel suo 2016 solare è una macchina schiacciasassi: ha vinto 25 partite su 25 in casa. Allegri perde la Supercoppa italiana contro il Milan in Arabia Saudita e cambia ancora: passa dal 3-5-2 al 4-2-3-1 e con questo centra la sua seconda finale di Champions League. Si vede un futuristico Dani Alves sulla trequarti, sulla stessa linea di Mandžukić, con Dybala nel pieno della sua forma, sulla trequarti campo. Peccato che in tutto questo a Cardiff vinca il Real Madrid, 4-1, con tanto di meme sul povero Marco Asensio.
2018: Cristiano Ronaldo alla Juventus
Nell’estate 2017 il re del calciomercato italiano è il Milan, che spende 186 milioni per undici nuovi calciatori: il più costoso è Leonardo Bonucci, per 42 milioni dalla Juventus. Cambiano gli addendi, non il risultato. La Juve stavolta si rinforza a centrocampo (Matuidi e Bentancur) e sulle ali (Bernardeschi e Douglas Costa). A settembre, Andrea Agnelli diventa presidente dell’ECA, che non è la Corte dei Conti europea – European Court of Auditors– ma la European Club Association, che (come dice il nome) è l’associazione dei club europei. Verrà rieletto nel 2019, ma stavolta intanto prende il posto di Rummenigge ed è il primo italiano: «Lavoriamo per migliorare il calcio». Si tenga a mente questa frase. Avanti nastro fino a fine anno, quando arriva il quarto scudetto di fila per Max Allegri, il nono in carriera di Gianluigi Buffon che a fine anno lascia dopo 17 anni la maglia numero 1 della Juventus (assieme a lui, c’è Claudio Marchisio che rescinde il contratto e si accasa allo Zenit). Tra le polemiche, perché la Juventus in semifinale di Champions – la Coppa dalle grandi orecchie, una maledizione – affronta il Real Madrid e pare non ci sia storia: a Torino vincono gli spagnoli 3-0 e Cristiano Ronaldo segna in rovesciata. Eppure, a Madrid, la Juventus si porta assurdamente sul 3-0 e solo un rigore di Ronaldo al 98’ permette al Real di arrivare in finale a Kiev (poi vinta, col Liverpool, con un altro gol in rovesciata: di Gareth Bale). Ma che peccato. Di Gigi Buffon, quella sera, si ricorda un celebre aforisma: «Un essere umano non può decretare l’uscita di una squadra. Uno così al posto del cuore ha un bidone d’immondizia», a uso e consumo del fischietto inglese Michael Oliver, curiosamente omonimo dell’attore protagonista di Piccola Peste. E giù di meme.
Ma sai che c’è? C’è che quella rovesciata di Cristiano Ronaldo allo Juventus Stadium innesca uno strano meccanismo. E sai che c’è? La Juventus ora sogna in grande, e come Icaro accetta il rischio di scottarsi. Così – perché no, in fondo? – la Vecchia Signora bussa alla porta del Real Madrid e il 10 luglio 2018 annuncia Cristiano Ronaldo per 100 milioni di euro. Un colpo a effetto, un segnale per tutta l’Europa: l’obiettivo è quella Coppa dalle grandi orecchie che in passato è sempre sfuggita per così poco. Bene, l’eco mediatico di Ronaldo offusca Mattia Perin, Emre Can o il connazionale João Cancelo. Dopo due anni, saluta pure l’adorato Higuaín (che finisce al Milan) ma tu non disperare: dopo tanto peregrinar, il Pipila tornerà a Torino nel 2019 e chi sarà sulla panchina bianconera? L’allenatore con cui ha reso più di tutti, Maurizio Sarri. Ma andiamo per gradi. Nulla di nuovo: a un certo punto, la Juventus è prima con 20 punti di vantaggio sulla principale inseguitrice, il Napoli. A fine stagione, agevolmente, Massimiliano Allegri diventa il primo allenatore nella storia del calcio italiano a vincere cinque scudetti di fila. C’è altro da dire? Sì, la Champions League: agli ottavi c’è subito una trasferta shock a Madrid, dove l’Atlético del Cholo Simeone vince 2-0 ma subisce una rimonta altrettanto assurda a Torino, dove la Juventus vince 3-0 e Cristiano Ronaldo fa tripletta. Siuu. O meglio, fiuu. Peccato che ai quarti ci sia l’Ajax di van de Beek e de Ligt: Ronaldo segna all’andata e al ritorno, ma è il difensore olandese a decidere la partita ed eliminare i bianconeri. Karma.
Tra l’olandese de Ligt e Maurizio Sarri
Ma sai che c’è? Ch’è che quel colpo di testa di quel difensore biondino allo Juventus Stadium innesca uno strano meccanismo. E sai che c’è? La Juventus ora sogna in grande, e come Icaro accetta il rischio di scottarsi. Così – per farla breve – la Vecchia Signora bussa alla porta dell’Ajax e il 18 luglio 2019 annuncia Matthijs de Ligt per 85.5 milioni di euro. Allegri saluta in estate, lasciando il posto a Maurizio Sarri (su cui è doverosa una parentesi) e quasi quasi il danno è minimo, perché hai Cristiano Ronaldo e c’è pure de Ligt adesso, anzi c’è lui e ci sono tanti altri difensori (Danilo, Cristian Romero, Merih Demiral, Luca Pellegrini), ci sono Rabiot e Ramsey a parametro zero e c’è pure Buffon. Un piccolo calciomercato da sogno, in pratica.
L’allenatore Maurizio Sarri ha lavorato in banca, ha fatto gavetta e rappresenta un idealtipo di calcio che probabilmente non s’addice all’infighettatura a cui è costretto il giorno della presentazione a Torino. Sarri lo immagini con la tuta anche la domenica, quando le telecamere indugiano su di lui, e con la sigaretta in bocca. Nel 2018, un sito web inglese di nome joe.co.uk ha stimato che fumasse 80 sigarette al dì, una ogni 12 minuti. Ma, comunque, Sarri è a Torino. Agnelli, quando ha salutato Allegri, il 19 maggio 2019 dopo cinque scudetti di fila, non ha usato mezzi termini: «Era dagli Anni Trenta che non si vincevano 5 scudetti di fila, lui ci è riuscito. A maggio 2013 eravamo a Londra io e Paratici per la finale di Champions, dal nostro albergo uscì Max e io dissi a Fabio: “Questo sarà il prossimo allenatore della Juventus”. Dopo 14 mesi, è arrivato. Ora, il suo addio è stata la decisione più sofferta da quando sono alla guida della società».
2019/20: il Covid-19 ferma il calcio
La nuova Juventus di Sarri (e del Ronaldo-bis) batte cassa: Guardiola si porta a Manchester João Cancelo e lascia a Torino il sostituto del portoghese (il brasiliano Danilo, ex Real Madrid) oltre a 28 milioni. Agnelli, come detto, ha acquistato per 85.5 milioni di euro l’olandese de Ligt e consegna a Sarri uno squadrone. Sarri è reduce da un anno al Chelsea in cui è finito terzo in Premier ma ha vinto l’Europa League mostrando al mondo quanto fosse dannatamente forte Eden Michael Walter Hazard – che difatti a fine stagione si è trasferito al Real Madrid per, pare, 100 milioni – e ha scelto di tornare in Italia con la pancia piena, da vincente. Alla Juventus non gli chiedono più solo di vincere, ma di vincere col bel gioco. Nel senso propriamente dannunziano del termine, c’è un chiaro rischio di hybris. Ma ormai il giochino è fatto: hai Cristiano Ronaldo e hai Matthijs de Ligt, il campionato è già tuo ma – per l’amor di Dio – sali sul tetto d’Europa. Il problema è quello che Nassim Nicholas Taleb chiama “cigno nero”, ovvero lo scoppio di una pandemia globale nota come Covid-19 che – tra le altre cose – stoppa il calcio. Le gare proseguono a porte chiuse, poi il governo Conte indice il lockdown nazionale e la FIGC sospende sine die il campionato.
Uno stop simile si era visto solo con la Grande Guerra. Ma dopo tre mesi e mezzo ricominciano panem et circenses e la Lazio di Simone Inzaghi e soprattutto uno strabiliante Ciro Immobile – che a ridosso di Natale ha pure battuto la Juve in Supercoppa – crolla alla distanza. A 61 anni, il 26 luglio 2020, Maurizio Sarri diventa il tecnico più anziano a vincere la Serie A nell’era del girone unico. Ma stecca in Europa, visto che la Juventus viene eliminata agli ottavi di Champions League dall’Olympique Lione. In modo totalmente assurdo, perché il Lione vince 1-0 l’andata il 26 febbraio 2020 e perde 2-1 allo Stadium il ritorno che si gioca il 7 agosto 2020, dopo quasi sei mesi. Cristiano Ronaldo fa doppietta, ma non basta: vale ancora la regola per cui il gol fuori casa vale doppio. Così, sotto le (mentite) spoglie di un calcio non spumeggiante, Sarri salta. Plot twist: perde la finale contro il Napoli di Gattuso, per cui è core ‘ngrato ma che evidentemente si pregia del frutto del lavoro di Sarri. In campo, il toscano si trova contro il tridente – José María Callejón, Dries Mertens e Lorenzo Insigne – che lui stesso ha plasmato. Karma, parte due.
Una scommessa chiamata Andrea Pirlo
Se il poco feeling è costato la panchina a Sarri, il 30 luglio 2020 il nuovo tecnico cui Andrea Agnelli affida le chiavi della sua Juventus è Andrea Pirlo. Lui, che da calciatore ha scritto la storia della Juventus, ora torna in panchina ma – attenzione – da esordiente. Perché Pirlo, che abbiamo lasciato nel 2016 col suo trasferimento a New York, aveva più volte dichiarato di non voler allenare. E invece a settembre 2018 ottiene la qualifica UEFA A che gli permette di essere in panchina. Inizialmente si pensa debba allenare la seconda squadra, ma Agnelli – con un coup de théâtre non indifferente – lo piazza al comando dei grandi. Nel mentre, su La Repubblica, l’ex juventino Massimo Mauro scrive: «Nove scudetti di seguito sono figli dell’organizzazione. C’è una battutaccia che si fa in negativo: giocatori e allenatori passano, ma la società resta. Vale anche per la Juventus, ma in positivo». Sarà profetico, a modo suo.
Andrea Pirlo, detto Il Maestro, ha capelli castani, occhi color nocciola, un look che per minimi tratti somiglia a Chuck Norris e la barba. Non un particolare da poco: l’Andrea Pirlo del Milan è imberbe, l’Andrea Pirlo della Juventus – seguendo anche l’evoluzione di Leo Messi – invece ha una barba folta, che contribuisce a svelarne l’imperturbabilità caratteriale. È un uomo di poche parole e rari sorrisi. Schivo, anche coi giornalisti. Misterioso. Non ha l’aura né quel po’ di arroganza di Max Allegri – su cui è disponibile un’ampia letteratura di frasi celebri, di cui proponiamo l’espressione forse più fortunata: “Ti intendi di ippica? Nei cavalli basta mettere il musetto davanti” – ma Pirlo ha qualcosa di Sarri. Non saprei spiegare cosa, forse l’aria da duro o da personaggio cattivo di un film western. Chissà.
2021: Andrea Agnelli e la Superlega
Ma andiamo avanti, suvvia. A Pirlo viene rinnovata la rosa. Un’operazione simile a quella che l’anno prima aveva coinvolto Cancelo e Danilo, col Manchester City, viene ora organizzata col Barcellona per scambiare Pjanić con Arthur Melo. Stavolta il conguaglio lo sborsa la Juve: 16 milioni, perché in fondo il brasiliano ha 7 anni in meno del bosniaco. Saluta Emre Can, ecco McKennie, born in the USA. Torna l’ex figliol prodigo Álvaro Morata (in prestito stavolta dall’altra squadra di Madrid, non il Real bensì l’Atlético) e si fa nuovamente razzia a Firenze dopo il colpo Bernardeschi. Il prescelto stavolta è Federico Chiesa, 10 gol e 9 assist l’anno prima, nato a Genova come suo padre Enrico. Era il capitano della Fiorentina, ora viene ricoperto di insulti, minacce di morte e striscioni. Vilipendio, lo stesso toccato tra gli altri a Roberto Baggio. Pirlo incontra difficoltà sul suo percorso, vince Coppa Italia e Supercoppa italiana ma in classifica è solo quarto. Che lo scudetto lo vinca l’Inter di Antonio Conte è secondario. Pirlo in Champions esce agli ottavi col Porto – nonostante tre gol, tra andata e ritorno, di Chiesa – e questo non gli viene perdonato.
Nel mentre, oltre a nuove ondate pandemiche, il 21 aprile 2021 si scrive la storia del calcio. Una congiura orchestrata col favore delle tenebre (cit.) e capeggiata da dodici club fondatori, tra cui Milan e Inter, Manchester United e City, Real e Atlético Madrid. Il capo dei ribelli è Florentino Pérez, il suo vice è Andrea Agnelli che in un’intervista a La Repubblica si esprime così: «Fra i nostri club c’è un patto di sangue, il progetto ha il 100 per cento di possibilità di successo. Il calcio vive una crisi di appetibilità verso le nuove generazioni, processo accelerato dalla pandemia, vogliono vedere grandi eventi. E il 40% di chi ha tra i 16 e i 24 anni non ha interesse per il calcio. Creare una competizione che simuli le piattaforme digitali tipo Fifa significa fronteggiare la competizione di Fortnite o Call of Duty». La famigerata competizione ha un nome attraente, Superlega. Agnelli si dimette dalla presidenza dell’ECA, mentre il mondo attonito osserva da fuori lo scorrere di comunicati, prese di posizione e – unanime – ferma condanna. Com’era quello striscione famoso? Football: created by the poor, stolen by the rich.
2021: Max Allegri e l’Italia campione d’Europa
Ma torniamo a Torino, dove torna Max Allegri. E dove va via Cristiano Ronaldo, dopo 134 gare e 101 gol in bianconero: 28 al primo anno, 37 al secondo e 36 al terzo. Ora, una riflessione: ad agosto 2018, Cristiano Ronaldo era arrivato a Torino dopo quattro Champions League vinte in cinque anni col Real Madrid. Dopo tre anni di Juventus e tre tecnici diversi, ma soprattutto una eliminazione ai quarti di finale (con l’Ajax) e due agli ottavi (con Lione e Porto) si comprende come ritenesse il suo tempo a Torino finito. Così il suo procuratore Jorge Mendes lo riporta a Manchester dove è abbondantemente coccolato. La Juventus si consola col prestito di Moise Kean, che un anno prima era stato ceduto definitivamente all’Everton poi di Ancelotti, e con un giovane brasiliano che si chiama Kaio Jorge e che in potenza potrebbe essere il prossimo Neymar. Ah, c’è pure Locatelli. Aspetta.
Sì, proprio Mattia Locatelli. Perché nel frattempo tra gli eventi impattati dalla pandemia di Covid-19 c’è un Campionato europeo di calcio, quello del 2020, spostato in avanti di un anno. Si gioca itinerante (non il massimo, data la diffusione del virus, ma c’è da dire che in Europa è iniziata la campagna vaccinale) e lo vince l’Italia di Roberto Mancini. Non c’è più la BBC per motivi anagrafici – anzi, nell’estate 2021 Buffon parte di nuovo, stavolta se ne torna a Parma – ma restano gli ultimi baluardi: Giorgio Chiellini, capitano e autore della trattenuta a Bukayo Saka che ha fatto il giro dell’Internet, e Leonardo Bonucci, decisivo in finale col gol del pareggio, che ha portato la partita ai supplementari e da qui ai calci di rigore. Gli altri due juventini sono i due esterni. Hanno lo stesso nome, Federico: uno è Bernardeschi e l’altro è Chiesa, sono arrivati da Firenze attirando su di loro l’odio della città. Ecco, la Juventus in estate prende dal Sassuolo Manuel Locatelli, mediano scuola Milan, per 25 milioni e l’etichetta di papabile nuovo Pirlo possibile ed eventuale.
Epilogo: la fine del ciclo?
Ora, Massimiliano Allegri stecca. Diciamocelo. L’attenuante dell’assenza di Ronaldo non basta, la Juventus è un’altra volta quarta in classifica e per la terza volta di fila s’è fermata agli ottavi di finale di Champions League contro il Villarreal. Nel peggior modo possibile: pari 1-1, poi a Torino dominio spagnolo (0-3). In tutto questo, il gol juventino lo segna un attaccante serbo che si chiama Dušan Vlahović, sembra l’attaccante del futuro assieme a Erling Haaland e si è trasferito a Torino per 70 milioni a gennaio scorso dalla Fiorentina. E siamo a tre: Bernardeschi, Chiesa, Vlahović. Accanimento o prosecuzione della strategia di depotenziamento dei rivali che – come abbiamo visto – era iniziata nell’estate 2016 col saccheggio di Roma (Pjanić) e Napoli (Higuaín)? Ai lettori l’ardua sentenza.
Ma siamo agli sgoccioli della storia. Non c’è lieto fine. Nella stagione calcistica 2021/22, la Juventus resta a secco di trofei dopo dieci anni. L’ultima volta era all’alba dell’era di Andrea Agnelli. C’erano Luigi Delneri in panchina e Alessandro Del Piero in campo, ricordi? Sembra passato un secolo e tanti hashtag comunicativamente stupendi (#hi5tory, #le6end, #my7h, #w8nderful e #stron9er) ma c’è ancora un punto da trattare. Il 26 novembre 2021 – a un anno dal discutibile esame d’italiano di Luis Suárez all’Università per Stranieri di Perugia, siccome per ottenere la cittadinanza italiana serve il B2 – la Guardia di Finanza perquisisce le due sedi della Juventus in cerca della documentazione di gestione dal 2019 al 2021. L’inchiesta viene condotta dalla procura di Torino, ci sono due ipotesi di reato (false comunicazioni sociali ed emissione di fatture per operazioni inesistenti) e sei indagati. Tra questi, l’ex responsabile dell’area sportiva Fabio Paratici, il vicepresidente Pavel Nedvěd e il presidente della Juventus, Andrea Agnelli. Formalmente viene indagata pure la Juventus, in veste di persona giuridica. E arriviamo così alle dimissioni dell’intero Cda della Juventus, Andrea Agnelli compreso. Un terremoto, improvviso, in una tranquilla serata di fine novembre.