E insomma, nonostante tutti gli sforzi che facciamo per lobotomizzarci con l’intrattenimento più escapista che c’è, pare proprio che ‘sta faccenda della morte sia proprio qualcosa con cui ci tocca fare i conti.
A pensarci bene, non sono neanche poi così pochi i franchise che hanno dovuto aggiustare il tiro di fronte alla scomparsa, prematura o meno, di un attore protagonista. Fast & Furious ha fatto uscire di scena il personaggio di Paul Walker con una mossa molto meno elegante di quanto sembrasse all’inizio, intrappolando i successivi 140 capitoli tra l’incudine e il martello dell’omaggio sincero e il puro sciacallaggio, sempre e comunque sul filo del ridicolo (“Brian? Era qui un attimo fa, lo avete mancato di un soffio”, “guarda, quella è la sua macchina, vuol dire che sta arrivando”, “sì l’ho sentito prima al telefono, sta bene”). La morte di Carrie Fisher ha costretto Star Wars a forzare la mano su roba che aveva comunque già intenzione di fare: si sono aiutati con un po’ di CGI e delle scene inutilizzate da Il risveglio della Forza, e il risultato finale è un po’ meno che perfetto, ma la morte di Leia — come del resto del cast originale — per fare spazio alle nuove generazioni era un plot point ampiamente previsto. Philip Seymour Hoffman ci ha lasciati mentre stava ancora facendo gli ultimi due capitoli di The Hunger Games e la sua parte è stata ridotta in modo da far bastare il girato già disponibile. Andando ancora più indietro, Richard Harris ha interpretato Dumbledore nei primi due Harry Potter e dopo la sua morte la parte è semplicemente passata, senza tanto clamore, a Michael Gambon.
La Marvel, però, con il seguito di Black Panther, è la prima ad aver reso la scomparsa di un attore parte integrante del racconto. Non che ci fosse tantissima scelta, eh? Quella che all’epoca di Captain America: Civil War sembrava una pigra spunta sull’agenda del politicamente corretto alla voce “supereroe nero che non sia un sidekick” si è rivelata una miniera d’oro, un’occasione mai vista prima di ingaggiare il pubblico portando finalmente varietà sul grande schermo, mettere in luce attori e attrici che altrimenti avrebbero avuto molte meno possibilità e celebrare, con tutti i limiti di un film di pigiami, una cultura che incredibilmente non fosse bianca e americanocentrica. Per questo motivo il personaggio di T’Challa, e per estensione l’interpretazione che ne ha dato Chadwick Boseman, era qualcosa di insostituibile. Chiedere a un altro attore di prenderne il posto sarebbe stato imbarazzante per tutti e allo stesso tempo l’eredità spirituale di Black Panther andava conservata tutti i costi.
Poi vabbè, io lo so che Hollywood è un calderone di cinismo e merda, che in queste cose c’è solo opportunismo e non un briciolo di sincerità, ma per qualche motivo il tributo a Boseman nel logo dei Marvel Studios la lacrimuccia me l’ha strappata.

Ciao Chad, voglio ricordarti così
Come si fa funzionare, quindi, il seguito di un film su un personaggio che muore nei primi 5 minuti? Avendo a disposizione quasi tre ore, Ryan Coogler se la prende mega comoda e trova la quadra spostando il focus su tutte le donne della vita di T’Challa — la regina madre Ramonda, la sorella Shuri, la guardia reale Okoye e il love interest (nel modo in cui solo i personaggi Marvel sanno essere un love interest, cioè “perché sì”) Nakia — raccontandole mentre affrontano il lutto e una crisi diplomatica che porta il Wakanda ai ferri corti con gli Stati Uniti e in guerra aperta con —what the fuck– il regno sottomarino di Talokan.
Il che ci porta all’unica cosa che mi interessava veramente di questo film.

Sorry ladies
A costo di passare per il solito maschilista che non degna di uno sguardo i personaggi femminili*, ero davvero curioso di vedere che lavoro avrebbero fatto con Namor, soprattutto alla luce delle anticipazioni che giravano da un po’, che lo uhm ricollocavano in un contesto che non sembrava c’entrare molto con il fumetto.
Non che la fedeltà ai fumetti sia veramente un problema, eh. Namor, poi, è un personaggio che preso da solo mi ha sempre fatto venire un gran sonno, ma credo dia il meglio di sé quando fa il comprimario nelle serie degli altri. Penso al suo stranissimo rapporto con i Fantastici 4, per i quali ogni tanto è un nemico e ogni tanto un alleato che cerca di scoparsi la moglie del capo. Ma ha frequentato anche gli X-Men, gli Avengers, ha combattuto a fianco di Captain America nella WWII e fa parte delle cricca degli Illuminati (ne avete visto una versione nell’ultimo film di Dr Strange), un gruppo di super-stronzi che decide in segreto cos’è meglio per la Terra e i suoi abitanti… Tutte storie molto interessanti, fidatevi di me, non c’è bisogno che le leggiate. Il problema è che per arrivarci bisogna prima superare uno scoglio piuttosto grosso, ed è che Namor è letteralmente Aquaman ma meno famoso. (E chi se ne frega di quale fumetto è uscito prima, Aquaman è un film del 2018 e questa è l’unica cosa che conta per l’MCU.) Come la risolvi ‘sta cosa? Come introduci un ibrido uomo-pesce, mezzo umano e mezzo atlantideo, re di un impero sottomarino, super forte e che occasionalmente brandisce un tridente senza che sembri un copycat del personaggio assolutamente identico interpretato da Jason Momoa? Se la guardiamo da questo punto di vista, ha perfettamente senso che la Marvel abbia scelto di riscriverne completamente le origini, dando addirittura un valore politico a un personaggio che particolari valori non ne ha mai avuti (basti pensare che si chiama Namor perché il suo creatore ha letto al contrario “roman” e ha trovato che suonasse fico!).

Incredibile non abbiano conservato il design originale!
Il Namor dell’MCU, dunque, è un guerriero maya mutante adorato come il dio-serpente Kukulkan e Atlantide si trasforma in Talokan, civiltà sottomarina il cui rapporto col Vibranio la rende una realtà speculare al Wakanda ma in-fondo-al-mar. I suoi abitanti, i sudditi di Namor, sono i discendenti di una popolazione mesoamericana che si è rifugiata negli abissi e lì ha avuto modo di svilupparsi e prosperare indisturbata, accrescendo così il parallelismo con ciò che rappresenta il Wakanda nell’economia Marvel: la fantasia di rivalsa di un popolo schiavizzato e una cultura cancellata dal colonialismo europeo.
Sulla carta, idea fichissima. Nella realizzazione… funziona fino a un certo punto.
L’estetica è fantastica, le armature dei Talokanil, i gioielli di Namor, le acconciature, le facce, sentire i personaggi parlare in maya yucateco (la stessa lingua di Apocalypto di Mel Gibson!) e vederli massacrare i conquistadores nei flashback e soldati americani nel presente è onestamente rinfrescante. Troppo però è affidato agli spiegoni e al fatto che, una volta chiarito che questi sono come i Wakandiani ma blu, lo spettatore riempirà i vuoti da solo.
Namor, in più, è il classico cattivo MCU con delle ottime argomentazioni ma che poi tira un calcio a un cucciolo e passa automaticamente dalla parte del torto (il solco del resto è quello tracciato da Killmongler nello scorso Black Panther) e Tenoch Huerta, per carità, ha il fisico per fare il cazzo che gli pare ma non il carisma di Michael B. Jordan** né di Jason Momoa, se vogliamo guardare alla concorrenza. Sono più ansioso di rivederlo per quello che non ha fatto in tempo a dire, che per quello che ha detto.
Un discorso simile lo si potrebbe fare per Shuri, che è per molte ragioni il negativo di Namor: se lui è un villain con cui è facile empatizzare, lei è un eroe che più il film procede e meno ci sta simpatica; lui è un re-dio, lei una regina-scienziato; Namor fa cose sbagliate per i motivi giusti, Shuri fa cose giuste per i motivi sbagliati. Per questo funzionano alla grande insieme (forse la prima volta in cui l’MCU riesce a mettere un maschio e una femmina nella stessa stanza senza farli comportare come due innamoratini delle medie) e durante il combattimento finale non sai onestamente per chi dei due fare il tifo. Ma anche per lei c’è così tanto di detto e non mostrato!
La sua crisi della fede avrebbe potuto essere tranquillamente il tema portante dell’intero film e invece si riduce a generica motivazione per cui è sempre presa male. Nel primo film, il Wakanda veniva descritto come una terra dove tradizione e progresso coesistono in armonia, ma ora Shuri vede la prima come un ostacolo al secondo. All’inizio di questo film la sentiamo pregare la dea Bast perché salvi T’Challa e quando questo non succede è motivo sufficiente per mettere in dubbio la propria religione. La scoperta che il Vibranio si trova anche nell’Oceano Atlantico è la goccia che fa traboccare il vaso, non fa che confermare che i wakandiani non sono un popolo benedetto dagli dei ma solo fortunati. Questo significa che la religione sia una truffa o che credere in un modo altro rispetto a quello che percepiamo attraverso i sensi sia una roba da gonzi? Ve lo saprò dire quando vedrò un film Marvel che ne parla, per il momento sono solo spunti che si perdono come lacrime nella pioggia di CGI.
Un paragrafo a parte merita la faccenda di Riri Williams/Ironheart, per il semplice motivo che è un pezzo di sceneggiatura completamente avulso da tutto il resto del film e se non sono riusciti gli autori a inserirlo organicamente nel discorso non vedo perché dovrei provarci io.
Ennesima ragazza prodigio (è rimasto qualcuno che nell’universo Marvel non è un genio?) presentata con l’espediente di scrittura più stanco dell’universo — la studentessa povera ma intelligentissima che vende i compiti ai compagni di classe scemi ma ricchi — è contemporaneamente il deus ex machina che mette in moto la storia, il macguffin che la fa continuare nella parte centrale e una che non ha nessunissimo motivo al mondo di stare lì in mezzo nel finale.
Non starò a parlare di verosimiglianza in un universo dove la scienza è praticamente magia e in più esiste la magia, non mi disturba particolarmente che una ragazza di 19 anni abbia inventato l’unica macchina al mondo in grado di rilevare il Vibranio e in più abbia ricreato l’armatura di Iron Man in un garage. Quello che mi disturba è che non sappiamo assolutamente nulla di lei. Nel corso di una settimana passa da andare a scuola a sparare agli uomini-pesce in una guerra non sua travestita da Iron Man, perché? Cosa le passa per la testa? Quali sono le sue motivazioni a parte la rule of cool?
Il modo in cui viene gestita Riri, che sicuramente diventerà rilevantissima in futuro (tanto per cominciare c’è un film in lavorazione dedicata proprio alle armature di Iron Man), assomiglia molto a quello che veniva fatto con Spider-Man in Civil War: un assaggio che non pretendeva di spiegarti chissà cosa perché tanto c’era dietro l’angolo una serie di film dedicati esclusivamente a lui. La differenza è che con Spider-Man non servivano spiegazioni anche perché avevamo già visto altri 700 film su di lui! L’urgenza di introdurre invece un personaggio completamente nuovo, che ci lascia più perplessità che hype, in una sceneggiatura dove c’è già di tutto, non me la spiego se non con la solita bulimia Marvel che se ogni film non contiene un’anticipazione del successivo e se non finisce con un mega scontro tra settecento personaggi Kevin Feige non dorme la notte.

E ora una parola allo sponsor di questo film: il prossimo film
Con un finale piangino e una scena “post credit” di raro imbarazzo, Wakanda Forever chiude la faticosissima Fase 4 del Marvel Cinematic Universe. Che se volessimo riassumere in un concetto potrebbe essere “altri mondi”: Spider-Man e il Dr. Strange ci hanno spiegato fino allo sfinimento come funziona il multiverso, Shang-Chi ci ha portato nella dimensione mistica di Ta Lo, Thor e gli Eterni hanno declinato ognuno a modo proprio il concetto di “dei nello spazio” e infine il Wakanda ha fatto a pizze con una civiltà precolombiana sommersa (l’unico film che non si presta al giochino è Black Widow, ma se ci pensate ha senso: è ambientato durante la Fase 3), senza contare che ci hanno già mostrato almeno due variazioni sul tema dell’aldilà. Molti si sono lamentati della generale mancanza di un filo conduttore, ma a me sembra che tutto stia andando in direzione di ampliare il più possibile gli orizzonti degli spettatori e quindi le carte che potrà giocarsi la Marvel in futuro. Non si tratta più di introdurre personaggi (guardate come è stata introdotta male Ironheart) ma scenari: se in Civil War gli eroi si picchiavano in un parcheggio per decidere se Bucky doveva andare o no in prigione, ora sappiamo di avere l’imbarazzo della scelta tra pianeti sempre più pazzi, dimensioni parallele e città futuristiche, in un multiverso in continua espansione popolato da una quantità di pantheon di super-dei. Quello che disorienta, forse, è che nonostante tutta questa varietà, le storie finiscano tutte per accartocciarsi su se stesse, con lo sguardo volto verso il singolo e temi che in un modo o nell’altro finiscono sempre per parare su lutto o genitorialità. E allora forse il problema dell’MCU post-Thanos è proprio questo, che non sa decidersi tra la maturità e la locura, e questo porta a film come Wakanda Forever che tiene il piede in due scarpe e non gliene sta eccessivamente bene nessuna. Quello che fa bene lo fa davvero bene, ma te lo fa scontare con una durata infinita. Fa un buon lavoro con certi personaggi e poi te ne infila altri 13 per paura che non ti basti. Fa salire la tensione alle stelle e poi, nell’anno del Signore 2022, tutte le scene d’azione tranne una sono ambientate di notte. Io alla fine mi sono più divertito che non divertito, ma mi sono anche già scordato il perché.
Blu-ray quote:
“Alla fine comunque mi sono più divertito che non divertito”
Quantum Tarantino, i400calci.com
*Scherzi a parte, là fuori c’è un film d’azione da 250 milioni di dollari con quattro protagoniste donne e scommetto che non ve ne siete neanche accorti perché Coogler si è dimenticato di fare la scena “girl power” alla Endgame o farle cantare oltre alle gambe c’è di più come in Black Widow.
**Possiamo dirlo che in un cameo di un minuto si mangia l’intero film o è spoiler?
The show must go on, ma con rispetto. La recensione di Black…